La fusione di Corigliano Calabro e Rossano è stata ed è una cosa seria che richiede sicuramente attributi non comuni in termini di capacità amministrativa, gestionale e organizzativa ma, prima di ogni altra cosa, cittadini attivi e partecipativi. Il caos mediatico messo in scena sul web e social in questi giorni (ndr. ottobre 2022) la dice tutta su quanto sia fumoso il dibattito acceso intorno al niente. Tra le tante elucubrazioni apparse sulla rete non ho letto alcun riferimento a quelli che sono stati i principi costitutivi della fusione, alla Legge Istitutiva della Città Unica con l’elenco delle cose che si sarebbero dovute fare, né tantomeno il più semplice tentativo di porsi domande su come trasformare in alleanza civica e strategica le risorse materiali e immateriali dei due Comuni fusi.
Tanti i cavoli piantati nel campo dei conservatori no-fusionisti tra cui, come questi dicono e scrivono, la sedicente contumacia di coloro che promossero la fusione. Ebbene, va sin da subito precisato che il Comitato 100 Associazioni è stato un comitato cittadino pro-fusione e, pertanto, ad obiettivo raggiunto è stato sciolto.
A suggello della terzietà di quest’organo civico ci risulta ad oggi che nessuno dei componenti del direttivo ricopra ruoli politici, né tantomeno abbia ricevuto incarichi pubblici collegabili ai benefici della fusione.
In ultimo, è evidente la posizione di fiducia e ascolto dell’ex-Comitato nei confronti dell’Amministrazione Stasi che sicuramente ha un onere gravoso nella gestione di una Città complessa e di un territorio così vasto come quello di Corigliano-Rossano. Se da un verso vi è questa umana comprensione, va anche detto che dall’altro lato vi è un’oggettiva carenza nella visione di Città, una conferma che ritroviamo nel Documento Unico di Programmazione (DUP) che dovrebbe essere la “scheda madre” del nostro sviluppo sociale, economico e culturale. Sicuramente scritto in burocratese per assolvere a un pubblico adempimento (infatti è a firma del Commissario dott. Bagnato), il DUP va ripreso e partecipato come strumento di dialogo civico e medium operativo per l’attuazione dei principi contenuti nel redigente Statuto. Va da sé la considerazione che DUP e Statuto siano i pilastri amministrativi e fondanti della Città Unica ai quali – diciamolo chiaramente e con polemica costruttiva – non è stata data priorità, opportuna comunicazione e coinvolgimento civico.
Senza fare troppe parole, da cittadini ci aspettiamo dunque risposte certe e discorsi seri su Who, What, Where, When, Why in merito a queste due questioni:
Chi si sta occupando del DUP e dello Statuto ha portato risultati alla Comunità?
Che cosa si sta scrivendo in questi documenti di programmazione?
Dove ci si confronta su questi temi che riguardano il futuro della nostra Città e delle future generazioni?
Quando verranno realizzati e partecipati alla cittadinanza, associazioni e stakeholders pubblico/privati?
Perché il Comune, le Commissioni e gli uffici competenti dell’Ente non danno priorità e visibilità all’iter?
Chi parla di progetto di nuova città, disorganizzazione, squilibri, delusioni e così via, non fa altro che alimentare un fuoco vacuo e senza motivo se non si risponde ai quesiti di cui sopra.
Da dove ripartire? Sipotrebbero utilizzare tanti approcci – politico, sociale, economico, ecc. – ma ritengo che quando si parla di città occorra pensare per prima cosa in ottica urbanistica. Tra gli studi, a mio parere utili a questo scopo, ci si potrebbe riferire allo statunitense Nolen, uno dei più eminenti urbanisti del Novecento, tra i primi ad affrontare il tema della riorganizzazione urbana e la costruzione di nuove città come base di partenza per la definizione di una comunità.
Utilizzo volutamente il termine “definire” perché in effetti finora abbiamo disegnato soltanto uno skyline della Città Unica, una sagoma senza contenuti.L’organizzazione di una nuova città è una questione molto complessa e richiede assolutamente la partecipazione dell’intera comunità e dei portatori di interesse, pubblici e privati, in quanto una città può definirsi “moderna” solo quando è in grado di rispondere alle domande poste dalla società che la vive, immaginando quali potrebbero essere le tendenze evolutive nel tempo rispetto a territori limitrofi, regione, Paese, mondo.
Leggendo uno dei saggi di Nolen, una “città nuova” deve essere, quindi, funzionale alle esigenze della gente, essere sostenibile ed offrire opportunità, ma per fare ciò occorrono alcune condizioni fondamentali come, ad esempio, un’ottima collocazione geografica, un equilibrio tra natura e infrastrutture, una densità demografica e territoriale ottimale, un governo del territorio e delle risorse materiali e immateriali attentamente conservato, utilizzato e pianificato.
Stando a questo schema, mi sembra che per Co.Ro. si possano spuntare tutte le caselle eccezion fatta per la parte delle infrastrutture e del governo del territorio. E questo lo sapevamo già, prima, durante e dopo la fusione. Credo sia il momento di rispondere alle five-questions… e sia chiaro, se i benefici della fusione non decollano non è colpa di nessuno in particolare! Purtroppo è colpa di tutti!